venerdì 1 luglio 2011

Meno otto

Che non è la temperatura di Juba, naturalmente. Otto sono i giorni che mancano alla proclamazione dell'indipendenza del Sud Sudan. Una settimana e una manciata di ore, ormai. E che succede in città?

Si pulisce. Squadre di uomini e donne, alcuni con addosso t-shirt con scritto "Keep Juba clean", spazzano le strade e i (simil)marciapiedi con scope fatte di sterpi, senza manico, cercando di tenere pulita la città. Pare (ma non ho conferme dirette) che ricevano 10 SDG al giorno, poco più di 3 dollari. Ai lati delle strade, sulla terra battuta che funge da marciapiede, sono anche comparsi dei bidoni per la spazzatura, finanziati anche dalla Cooperazione Italiana.

La pulizia delle strade non è l'unica operazione di makeup che è stata fatta a Juba. L'amministrazione cittadina ha sostanzialmente ordinato ai negozianti di ridipingere le saracinesche dei negozi e di evitare di lasciare la merce sulla strada. A Nimra Talata, il quartiere dove risiedo in questi giorni, i negozi che si affacciano sulla strada principale alternano quindi il bianco dei muri all'azzurro intenso delle saracinesche e delle porte. Un'uniformità senza precedenti, in effetti.
Naturalmente altre zone della città, come il mercato di Konyo Konyo, rimangono caotiche come sempre. Come il traffico, almeno in alcuni punti, ad esempio in corrispondenza delle strade chiuse per lavori, che obbligano tutti a delle deviazioni per strade sterrate piene di buche.

Lungo le strade del quartiere istituzionale, quello che ospita sia le sedi dei ministeri sia il palazzo presidenziale e la sede dell'assemblea legislativa, nelle aiuole che dividono le carreggiate si sta ancora scavando per piantare alberi e/o lampioni. Mi pare un po' tardi per le piante, onestamente. E mi chiedo con cosa saranno illuminati i lampioni: la fornitura di energia elettrica pubblica manca da giorni e giorni, si va avanti solo con i generatori. Per chi ce l'ha, naturalmente. Ma potrebbe essere che, com'è stato in occasione del primo giorno del referendum, il 9 gennaio, alla vigilia del prossimo importante appuntamento improvvisamente l'elettricità ritorni. Magari, con le delegazioni straniere in arrivo, stavolta l'erogazione inizierà anche un po' in anticipo, chi lo sa.

Lungo il viale su cui si affacciano molti dei ministeri sud-sudanesi, perpendicolare alla Main Road, ai lampioni già al loro posto sono appesi poster che inneggiano all'indipendenza, alla passata lotta per la liberazione del paese, ai "martiri" morti per la causa.




















Non c'è solo l'aspetto esteriore della capitale da preparare. Entro il 9 luglio, la nuova nazione dovrebbe aver imparato anche il suo nuovo inno nazionale. Che da due settimane, da quando è stato ufficialmente presentato al pubblico, è insegnato alla gente, passa alla radio, si ascolta nei ministeri. Quantomeno in quello della cultura, dove l'altra mattina l'ho sentito andare, dall'interno di un ufficio, almeno tre-quattro volte di seguito. Come i poster per le strade, l'inno nazionale passato alla radio, le sue parole distribuite alla gente su fogli ciclostilati, serve a creare un senso di nazione che in una regione così profondamente divisa come il Sud Sudan è tutto da costruire. Un "nation building" accanto al più istituzionale "state building". Su entrambi i fronti, tanto, tantissimo lavoro da fare.

Le foto sono tutte mie.
 

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