domenica 10 luglio 2011

Il giorno dopo la festa

Le celebrazioni per l'indipendenza del Sud Sudan si sono concluse, nel migliore dei modi. E' stata una giornata molto bella, soprattutto perché è stata senza ombra di dubbio la festa dei sudsudanesi, una grande giornata di gioia e di partecipazione per la gente comune. Certo, c'erano i capi di stato e di governo di molte nazioni, africane e non, c'erano Ban Ki-moon, lady Ashton, Jean Ping a rappresentare Nazioni Unite, Unione Europea e Unione Africana. E c'erano Bashir e tutti i leader dei partiti politici settentrionali, da Sadiq al-Mahdi a Hassan al-Turabi.
Ma la cosa più emozionante è stato vedere e sentire la gioia della gente comune. Già venerdì, nel tardo pomeriggio, le strade asfaltate della città sono stata invase da una folla pacifica e festosa, dalle bandiere del nuovo stato, l'aria riempita dal suono del clacson, dalla musica, dalle grida di giubilo. E' andata avanti così tutta la notte, con la placida connivenza dei poliziotti, seduti ai checkpoints a guardare i concittadini festanti.
Ieri mattina, dalle prime ore, migliaia di persone si sono messe in marcia, anche dai villaggi che circondano Juba, per arrivare per tempo al mausoleo di John Garang. Una folla fatta di donne e uomini, vecchi e bambini, moltissimi con delle piccole bandiere sudsudanesi, che hanno resistito sotto il sole cocente fino alle 17, fino ai 20 colpi di cannone che hanno segnato la fine delle celebrazioni ufficiali, nonostante la sete e alcuni malori.
Naturalmente la festa non ha riguardato solo la capitale Juba. L'indipendenza è stata festeggiata in tutto il nuovo stato, con celebrazioni in tutte le capitali dei dieci stati che formano il Sud Sudan (qui qualche nota sul clima pre-festa a Rumbek, capitale dello stato dei Laghi).

Ma oggi la sbornia della festa è passata, almeno in parte, anche se l'entusiasmo ovviamente rimane. Bisogna quindi cercare di capire quali e quante sfide il nuovo stato, la neonata Repubblica del Sud Sudan dovrà affrontare da subito.
Partiamo dall'economia, grazie a RovingBandit. Che in un post di qualche giorno fa dice che
...yes, the challenges are real. Southern Sudan does indeed have some of the worst human development indicators in the world. ... But it’s not all bad news. ...
In sostanza, dice RovingBandit, ci sono una serie di problemi strutturali, ma anche alcuni assets che, se sfruttati al meglio, potrebbero rendere meno in salita la via verso uno sviluppo economico del paese.
Sicuramente, però, le aspettative della popolazione sono altissime. Anche troppo in certi casi. Ne avevo avuto evidenza già a gennaio, durante il referendum. Molte persone con cui avevo parlato, a Juba, a Yambio e a Bor, mi avevano detto che avevano votato per la secessione perché così avrebbero ottenuto sviluppo, ospedali e scuole, pace e sicurezza. Le cose non sono cambiate in questi sei mesi, come testimonia anche questa lettera dallo stato di Warrap.
Le aspettative in sé non sono un elemento negativo. Ma in una regione così divisa e piena di armi come il Sud Sudan, un'aspettativa tradita può essere facilmente sfruttata e strumentalizzata per aumentare l'insicurezza. Il governo di Juba dovrà quindi fare il possibile (e magari anche l'impossibile) per far sì che l'enorme credito che la popolazione gli ha dato e continuerà a dare non si trasformi, con il tempo e in caso di mancate risposte da parte dell'esecutivo, un ampio e diffuso malcontento. Tanto più che sia il partito (Splm) che l'esercito (Spla) sono arrivata all'indipendenza con alle spalle mesi difficili, anche sul piano delle minacce alla sicurezza e alla stabilità interna del paese.
Non a caso ieri, nel suo primo discorso ufficiale da presidente della repubblica del Sud Sudan, Salva Kiir Mayardit ha offerto un'amnistia a tutti i leader ribelli attivi nel nuovo stato. Allo stesso tempo, però - e il fatto di averli citati assieme nel discorso di investitura sottolinea quanto entrambe le questioni siano importanti per Juba - Salva non ha mancato di mandare a dire alle "genti di Abyei, del Darfur, del Nilo Azzurro e del Kordofan meridionale che non ci siamo dimenticati di voi", promettendo allo stesso tempo di "trovare una pace giusta per tutti".
L'elenco è particolarmente interessante. Perché se la questione di Abyei riguarda direttamente anche il Sud ed è parte dei negoziati con Khartoum in corso ad Addis Abeba, interrotti solo per le celebrazioni dell'indipendenza del Sud, le altre "aree problematiche", per usare un eufemismo, citate da Kiir sono tutte interne al Nord. Quindi, a tutti gli effetti, dal punto di vista di Juba sono ormai problemi interni di uno stato confinante. Certo, Nilo Azzurro e Kordofan meridionale sono in parte anche "territori Splm/a" e il nuovo Splm-N, ovvero quella parte di movimento degli ex ribelli che rimane attivo come partito politico a se stante al Nord, è radicato nei due stati: Malik Agar e Abdel Aziz al-Hilu, i leader politici (ed ex leader militari durante la guerra civile) di Nilo Azzurro e monti Nuba, sono rispettivamente presidente e vicepresidente dello Splm-N.
Magari si è trattato solo di un'uscita retorica, ma il senso delle parole di Salva Kiir sembrerebbe essere un altro: un ruolo da facilitatore per il nuovo Sud Sudan, che è riuscito a raggiungere il proprio obiettivo - l'indipendenza - e ora vuole spendersi affinché anche le altre aree ex sorelle possano trovare risposta alle loro richieste e soluzione ai loro problemi. Non è detto che sia possibile. Il percorso negoziale sulle questioni aperte tra Nord e Sud è già abbastanza accidentato, è difficile che Juba possa mettersi a giocare anche su altri tavoli, cercando di sfilarsi il cappello di parte in causa per indossare quello di facilitatore.
Anche perché è improbabile che Khartoum accolga bene l'eventuale mossa. La presenza ieri di Bashir e di molti membri del suo governo a Juba, l'immediato riconoscimento dell'indipendenza del Sud, l'apprezzamento per il lavoro di mediazione di Thabo Mbeki e del suo panel dell'Unione Africana sono sembrati una serie di ramoscelli d'ulivo offerti a Juba. Ma i negoziati sono e restano difficili, anche se tutti hanno detto di essere pronti a riprenderli al più presto. E nell'ultima settimana i segnali mandati da Khartoum sull'accordo-quadro per il Kordofan meridionale, firmato con lo Splm-N sembre ad Addis Abeba, sono stati a dir poco contrastanti. Secondo StillSudan per dinamiche interne all'Ncp, indebolito dall'indipendenza del Sud e dalle sue conseguenze politiche ed economiche.
Sicuramente sarà interessante vedere come si ricomporrà il quadro politico settentrionale, in quel che resta della Repubblica del Sudan. In un'intervista alla BBC, l'ex premier Sadiq al-Mahdi ha già iniziato a parlare della "necessità di un cambiamento radicale", che o cambi le politiche dell'attuale governo o "cambi il governo stesso".
C'è molta strada da fare e di per sé l'indipendenza del Sud Sudan non risolve i problemi, di nessuno dei due paesi. La festa è stata meritata, dovuta e pienamente vissuta. Ora però inizierà la salita.
Buon cammino a entrambi i "nuovi" stati.

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