lunedì 16 aprile 2012

Sud Sudan, una voce da Bentiu

Ieri sera Marco Tesser, un amico che lavora con UNMISS a Bentiu, capitale dello stato di Unity, ha raccontato su Facebook la sua giornata:
Today I had to cross the [Bentiu] bridge twice, morning and afternoon. In the morning in front of SPLA Div 4 HQ two trucks were offloading so many troops with their shiny brand new uniforms and guns. It seemed they were coming back from the front. At 5.50 I was a Grand Hotel in Bentiu by WFP, at 6.25 a Sukhoi striked with 4 rockets a place only 500 meters from that place. Only one killed. Apparently in the past SPLA used to store tanks nearby. Another air bombardment hit Mayom, where we were supposed to go with a special flight to meet authorities for a water network project. 2 bombs accidentally landed on Unmiss county base (there is nobody there), 2 by the county commissioner office, but the target was Mayom bridge. SAF continues targeting strategical sites: bridges in Bentiu, Mayom and Abiemnhom as well as any military installation. Bad aim though, so far.Tonight at 22.30 prolongued shooting apparently from SPLA HQ (5 km from Unmiss base) for unknown reasons ended up with one bullet penetrating a colleague's container from the roof and landing harmlessly on the bedsheet. It seems that tomorrow (monday) non essential staff will start being evacuated (including myself) to Rumbek. Final decision will be taken in the morning after ASMT meeting. Now packing...

In realtà stamattina Marco ha fatto sapere che l'evacuazione del personale non essenziale di UNMISS inizierà domani. E che non riguarderà la sua sezione, che rimarrà quindi a Bentiu. 

Intanto, riporto l'articolo che ho scritto per Repubblica.it e che si può leggere anche qui

Una nuova ondata di rifugiati in arrivo nel campo profughi sud-sudanese di Yida, a 25 chilometri dal confine con il Sudan: è questo che si aspetta l'International Rescue Committee dopo che nell'ultima settimana gli scontri tra lo Spla, l'esercito del Sud Sudan, e il suo omologo del vicino settentrionale, le Saf, si sono intensificati. Secondo gli operatori dell'Organizzazione non governativa statunitense, i primi nuovi rifugiati sono arrivati domenica scorsa, a piedi o a bordo di camion. Se fino a quel momento i nuovi arrivati erano circa 50 al giorno, negli ultimi giorni si sono toccate punte di 400 arrivi quotidiani. E molti altri sarebbero in viaggio, nel pericoloso tentativo di attraversare il confine per scappare dai combattimenti. 
Nuovi scontri. I due eserciti si erano affrontati in campo aperto già qualche settimana fa, a fine marzo. L'aeronautica sudanese aveva bombardato le zone appena al di là del conteso confine, all'interno dei confini dello stato sud-sudanese di Unity, e lo Spla aveva risposto oltrepassando la linea di demarcazione dei due stati nel tentativo di conquistare la città e il campo petrolifero di Heglig, formalmente parte dello stato sudanese del Kordofan meridionale. Già allora era stato impossibile fare la tara alle divergenti versioni ufficiali per stabilire con certezza chi avesse iniziato. La stessa cosa è successa questa settimana, ma con una preoccupante escalation: martedì lo Spla ha effettivamente occupato Heglig, i cui pozzi da soli coprono circa la metà di ciò che è restato della produzione petrolifera sudanese dopo l'indipendenza di Juba, lo scorso 9 luglio. 
Le bombe. La risposta di Khartoum non si è fatta attendere. Se prima gli Antonov sudanesi colpivano appena al di là del confine, da mercoledì diverse bombe sono state sganciate alla periferia di Bentiu, la capitale dello stato di Unity, con l'apparente obiettivo di colpire la strada che dalla città va verso nord, verso il confine con il Sudan. All'imprecisi lanci degli Antonov, ha fatto seguito ieri l'arrivo di alcuni Mig, che - stando a quanto riferito dalle autorità sud-sudanesi - avrebbero sganciato cinque bombe, causando la morte di alcuni civili. 
La reazione internazionale. All'intensificarsi dei combattimenti sul terreno ha fatto eco un'escalation dei toni nelle due capitali, con appelli all'orgoglio e all'identità nazionali, chiamate alla mobilitazione della popolazione e alle armi. Il rischio che gli scontri di questi giorni possano portare allo scoppio di una guerra su ampia scala tra i due Sudan è quindi reale. La reazione di Nazioni Unite, Unione Africana e Unione Europea è stata immediata: gli appelli alla calma e la richiesta formale a Khartoum di fermare le bombe e a Juba di ritirarsi da Heglig sono state ripetuti con insistenza. Ma per ora non hanno sortito alcun effetto, se non quello di innervosire l'opinione pubblica sud-sudanese, che vede Heglig come parte del proprio territorio, contrariamente a quanto sostengono sia Khartoum che la comunità internazionale.
I confini, il petrolio. Le rivendicazioni territoriali lungo un confine di più di 2000 chilometri ancora da demarcare sono parte integrante dell'intricata questione sudanese. C'è una valenza identitaria nazionale, importante per entrambe le parti, ma anche indubbi calcoli e interessi economici che rendono particolarmente complicato la soluzione dell'impasse. Perché la nuova frontiera internazionale, che dovrebbe ricalcare la linea di divisione tra le province settentrionali e meridionali al momento dell'indipendenza del Sudan unitario, il 1° gennaio 1956, taglia terreni e pascoli e rotte tradizionali della transumanza. Ma anche, nel caso del confine tra Kordofan meridionale e Unity, campi petroliferi.  
"Noi rimaniamo". I dialoghi di pace su queste e altre questioni che la secessione del Sud Sudan ha lasciato aperte, mediati dall'Unione Africana e in corso da molti mesi, non hanno dato risultati concreti. E a questo sono formalmente interrotti: dopo la conquista di Heglig da parte dello Spla, il governo di Khartoum si è ritirato dal tavolo negoziale. In una situazione così fragile, chi opera sul terreno per ora non pensa ad andarsene. "Per ora non ce ne andiamo", dice a Repubblica.it Davide Berruti, capo missione dell'Ong italiana Intersos in Sud Sudan. Intersos sta lavorando nello stato di Unity alla preparazione e all'ampliamento di due campi profughi, un po' più lontani dal confine di quello di Yida. "I lavori continuano, non ci sono stati cambiamenti negli ultimi giorni. Anche per quel che riguarda gli arrivi, per ora nei campi in cui operiamo l'afflusso è rimasto stabile". Finché è possibile, quindi, la comunità umanitaria continuerà ad assistere la popolazione. "Faremo fronte anche a nuove ondate di arrivi: a Nyeel stiamo preparando un campo per 15mila rifugiati, anche se per il momento ce ne sono circa 700. Siamo pronti a ogni evenienza".

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