Pubblico anche qui l'articolo scritto per Repubblica online sugli scontri dei giorni scorsi nella contea di Pibor, Jonglei orientale. Aggiungo però anche un servizio del 3 gennaio di Al-Jazeera English, in esclusiva dalla città di Pibor, perché le immagini servono sempre.
Mentre il governo del Sud Sudan ha dichiarato “area disastrata” l'intero stato di Jonglei, di cui fanno parte sia i territori dei murle che quelli dei lou nuer, chiedendo un rapido e massiccio intervento delle agenzie umanitarie per dare assistenza a entrambe le popolazioni, le notizie che arrivano dalla città di Pibor sono di una calma tesa. La gente, scappata a decine di migliaia dalla città e dai villaggi circostanti per cercare rifugio nella boscaglia, sembra stia in parte tornando. La comunità internazionale presente in Sud Sudan, coordinata dalle Nazioni Unite, è già pronta per fronteggiare l'emergenza. Anche l'ong italiana Intersos, unica presenza internazionale stabile insieme a Medici Senza Frontiere nella città di Pibor, parteciperà all'operazione. “Anche il nostro compound, come quello di Msf, è stato bruciato e derubato nei giorni scorsi”, dice a Repubblica Davide Berruti, capo missione di Intersos nella neonata repubblica. “Non c'è stato pericolo per il personale, che era già stato evacuato. Siamo comunque pronti a ricominciare, siamo a Pibor dal 2010 e vogliamo tornarci al più presto. Intanto, già da subito, saremo a Boma, a sud di Pibor, dove molti degli sfollati si sono raccolti, a distribuire beni di prima necessità assieme alle altre organizzazioni”.
Villaggi rasi al suolo dalle fiamme, 3141 vittime, di cui 2182 tra
donne e bambini e 959 uomini, decine di migliaia di bovini rubati: è questo il bilancio, ancora
provvisorio, delle violenze che nei giorni scorsi hanno insanguinato
la contea di Pibor, nel Sud Sudan centro-orientale. Una violenza
largamente prevedibile, in realtà, ma che nessuno è riuscito a
fermare: nell'ultima settimana del 2011, l'anno che ha visto la tanto
attesa indipendenza del Sud Sudan, circa seimila lou nuer hanno
raggiunto e attaccato diversi villaggi della contea, terra della
popolazione murle, una delle molte decine che compongono il complesso
mosaico etnico della nuova repubblica.
Mentre il governo del Sud Sudan ha dichiarato “area disastrata” l'intero stato di Jonglei, di cui fanno parte sia i territori dei murle che quelli dei lou nuer, chiedendo un rapido e massiccio intervento delle agenzie umanitarie per dare assistenza a entrambe le popolazioni, le notizie che arrivano dalla città di Pibor sono di una calma tesa. La gente, scappata a decine di migliaia dalla città e dai villaggi circostanti per cercare rifugio nella boscaglia, sembra stia in parte tornando. La comunità internazionale presente in Sud Sudan, coordinata dalle Nazioni Unite, è già pronta per fronteggiare l'emergenza. Anche l'ong italiana Intersos, unica presenza internazionale stabile insieme a Medici Senza Frontiere nella città di Pibor, parteciperà all'operazione. “Anche il nostro compound, come quello di Msf, è stato bruciato e derubato nei giorni scorsi”, dice a Repubblica Davide Berruti, capo missione di Intersos nella neonata repubblica. “Non c'è stato pericolo per il personale, che era già stato evacuato. Siamo comunque pronti a ricominciare, siamo a Pibor dal 2010 e vogliamo tornarci al più presto. Intanto, già da subito, saremo a Boma, a sud di Pibor, dove molti degli sfollati si sono raccolti, a distribuire beni di prima necessità assieme alle altre organizzazioni”.
Ma
qual è la ragione di tanta violenza? Due popolazioni di
allevatori, che si scannano per il bestiame, le mucche dalle corna
lunga che sono tutto ciò che di più prezioso si possa avere:
simbolo di ricchezza, moneta di scambio, denaro per pagare sia le
doti che i torti, fonte di latte e sangue, muse per cui comporre
canzoni che ne decantino le virtù.
E allora assalire la tribù confinante e avversaria e rubarne il
bestiame diventa la regola. Uno scontro definito “tradizionale”.
Che però da tempo non viene più combattuto con archi, frecce e
lance, ma con armi automatiche di cui il Sud Sudan è zeppo. Facendo
quindi molte più vittime.
Difficile dire chi
abbia iniziato per primo. Perché le violenze dei giorni scorsi sono
solo l'ultimo atto di una tragedia che è in scena da molti mesi. I
lou nuer che hanno attaccato Pibor e i villaggi circostanti l'hanno
fatto per vendicarsi dell'attacco dei murle dello scorso agosto.
Allora i capi di bestiame rubati erano stati 38mila, i morti circa
600, centinaia i bambini lou nuer rapiti. Anche allora, per i murle,
si trattava di una vendetta, visto che i lou nuer avevano già
attaccato la contea di Pibor in giugno, a loro volta in risposta a un
precedente raid dei vicini. Una spirale di violenze apparentemente
senza fine, che nell'anno appena passato aveva già fatto circa 1100
morti e causato la fuga dai propri villaggi di più di 60mila
persone.
Le
ragioni, però, sono più complesse di quel che sembra. Per quanto il
bestiame sia il centro economico della vita e del sostentamento di
queste popolazioni, questo da solo non basta a spiegare ciò che sta
succedendo a Pibor e dintorni. Come spiega bene un recente rapporto
della Boma Development Initiative,
un'iniziativa comuntaria che proprio nella contea di Pibor ha il suo
centro, ci sono innanzitutto troppe armi, che i programmi di disarmo, peraltro violentissimi, attuati dopo il trattato di pace che nel 2005 ha posto fine alla
guerra civile tra Nord e Sud Sudan non sono riusciti a togliere dalla
circolazione. E c'è un problema generazionale, perché i giovani,
protagonisti dei raid dei giorni scorsi, non riconoscono più le
autorità tradizionali. Anche questa è una delle conseguenze di una
guerra civile ventennale, che proprio in Jonglei ha avuto alcune
delle sue fasi più cruente, con le diverse popolazioni dello stato
armate l'una contro l'altra, a sostegno o contro il gruppo ribelle
che ora, smesse (in parte) le mimetiche, governa il paese.
“Mercoledì
prossimo, a Juba, ci riuniremo con il gruppo di lavoro sul peace
building”, racconta ancora Berruti. “Si tratta di un nuovo
sottogruppo all'interno del cluster dedicato alla protezione dei
civili, che Intersos aveva proposto. Perché è fondamentale portare
aiuti d'emergenza ogni volta che ce ne sia bisogno, ma riteniamo sia
importante cercare di prevenire, ad esempio creando fonti di
sussistenza diverse, che permettano di uscire dalla spirale di
violenza”.
Per ora si tratta
di un'embrionale iniziativa delle organizzazioni umanitarie. Ma molto
potrebbe fare il governo. Che negli ultimi giorni, prima che i
giovani lou nuer sferrassero l'attacco finale, aveva cercato di
fermarli, mandando il vicepresidente della repubblica e il ministro
della giustizia, entrambi nuer, a parlare con loro per farli
desistere. Parole al vento, evidentemente.
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