Due leader ribelli uccisi a pochi giorni di distanza l'uno dall'altro. Il primo a cadere è stato il generale George Athor, da circa un anno e mezzo in armi contro il governo del Sud Sudan. Il secondo, la cui morte è stata annunciata nelle prime ore del giorno di Natale, è Khalil Ibrahim, da dieci anni presidente del Justice and equality movement (Jem), uno dei gruppi ribelli "originali" del Darfur.
Due morti che hanno smosso le acque limacciose delle situazioni interne di Sudan e Sud Sudan e che potrebbero avere delle conseguenze di medio e lungo termine. O forse no, perché è difficile, ora come ora, prevedere cosa succederà ai movimenti che i due leader avevano fondato e che dirigevano e come quindi evolveranno le cose.
Ma chi erano George Athor e Khalil Ibrahim? Iniziamo dal primo a cadere, l'ultimo a prendere le armi contro il suo governo. Fino a inizio 2010 Athor è stato un generale dello Spla, l'ex movimento ribelle diventato, dopo la pace del 2005, esercito regolare del Sud Sudan. Negli anni successivi al Cpa era stato promosso a vice capo di stato maggiore del nuovo esercito, con la delega per l'orientamento politico e morale. Ma alla vigilia delle elezioni generali del 2010 Athor ha deciso di sfidare il candidato scelto dal partito per il posto di governatore dello stato di Jonglei, Kuol Manyang Juuk, e si è quindi presentato come indipendente. Quando le urne hanno dato la vittoria a Kuol Manyang, Athor non ha accettato il risultato, a suo dire (e secondo molti altri in Jonglei) fasullo, e ha preso le armi contro l'esercito di cui aveva fatto parte, nei suoi gradi più alti, fino a pochi mesi prima.
Alla testa del suo South Sudan democratic movement/army (Ssdm/a), Athor è diventato così il più forte leader ribelle del nascente Sud Sudan, operando, come le altre insurrezioni sudsudanesi, soprattutto nelle turbolente e strategicamente importantissime aree di frontiera dell'Alto Nilo occidentale, dello Unity orientale e del Jonglei settentrionale.
Le armi si erano fermate solo a fine 2010, in modo da permettere un pacifico svolgimento del referendum per l'autodeterminazione nella settimana dal 9 al 15 gennaio 2011. Già a febbraio Athor e gli altri hanno ricominciato a combattere. Ma anche a rispondere alle aperture negoziali del governo di Juba. Qualcuno degli altri leader ribelli ha accettato un accordo con il governo sudsudanese, in un caso, quello di Gatluak Gai, pare pagando con la vita.
Anche Athor aveva, negli ultimi mesi, segretamente negoziato con Juba. Raggiungendo un accordo e rifiutandolo subito dopo. Almeno questo è quello che si dice. Ciò che si sa per certo è che Athor è morto a Morobo, in Equatoria centrale, quasi sul confine con la Repubblica democratica del Congo. Ovvero a centinaia e centinaia di chilometri dalle aree in cui era operativo. Si sa anche che Athor viaggiava con un falso passaporto keniota. Ma qui ricominciano le domande senza risposta. Innanzitutto, come è morto? Le versioni di Juba e dello Ssdm sono diverse: uno scontro a fuoco non previsto secondo il governo, un plot internazionale, con un ruolo di spicco per l'Uganda e il suo presidente Museveni, per lo Ssdm/a. Seconda domanda: che ci faceva Athor a Morobo? Cercava reclute per il suo esercito ribelle, secondo Juba. Possibile? Forse, ma poco probabile, vista la grande distanza e la diversa composizione etnica della zona rispetto alle aree a prevalenza nuer in cui lo Ssdm/a è attivo. A meno che non ci fosse lo zampino di Khartoum, da sempre accusata da Juba di sostenere le ribellioni interne al Sud Sudan, Athor in primis, e che in quelle aree di confine che spesso sfuggono a qualsiasi controllo da parte dei governi centrali ha in passato già sostenuto il nord-ugandese Joseph Kony e il suo Lord's resistance army (Lra).
Anche Khalil Ibrahim ha avuto una parabola simile a quella di Athor, anche se la sua ribellione è durata di più. E' stato parte del movimento islamista fin dagli anni Ottanta, combattendo con le Popular defence forces (Pdf) contro lo Splm/a e ottenendo un incarico ministeriale in Darfur. A fine 1999, al momento della frattura tra Bashir e Turabi, ha preso le parti di quest'ultimo, uscendo così dal National congress party (Ncp) al potere. Negli anni di guerra in Darfur, da gruppo minoritario il Jem è diventato quello più forte militarmente, grazie anche (forse soprattutto) all'appoggio del Ciad e della Libia di Gheddafi. Ma nell'ultimo anno e mezzo, dopo il riavvicinamento tra N'djamena e Khartoum, l'appoggio del Ciad era venuto meno, in modo plateale: atterrando a N'djamena dove passava molto tempo, nel maggio 2010 Ibrahim era stato respinto e rimandato a Tripoli, dove è rimasto fino a qualche mese fa. E' ricomparso in Nord Darfur dopo la caduta della capitale libica e di Gheddafi, probabilmente dopo aver prestato i suoi uomini per la difesa del regime della Guida e con un buon carico di armi.
Nei giorni scorsi il Jem, che aveva rotto i negoziati con Khartoum anni fa e che negli ultimi mesi aveva accettato di allearsi con gli altri due principali gruppi ribelli del Darfur, lo Slm/a di Minni Minnawi e quello di Abdel Wahid al-Nur, e con lo Splm/a-Nord in una nuova coalizione ribelle, il Sudan revolutionary front (Srf), con l'obiettivo dichiarato di far cadere il governo di Bashir, aveva annunciato di essere in marcia verso Khartoum, nel tentativo di replicare l'offensiva che nel maggio 2008 aveva portato il Jem quasi alla confluenza dei due Nili, a pochi chilometri dal palazzo presidenziale.
Il 25, la svolta: il portavoce delle Saf, l'esercito sudanese, ha dato la notizia della morte di Ibrahim, per le ferite riportate durante la battaglia dei giorni precedenti a Um Gozain, in Kordofan settentrionale. Ma anche in questo caso le versioni sono diverse. Perché secondo il Jem Ibrahim è stato invece ucciso da un missile lanciato sulla macchina in cui stava dormendo. Un missile che, per ammissione dello stesso Jem, avrebbe avuto una precisione di gran lunga maggiore di quelli in dotazione alle Saf, tanto da indurre oggi Hassan al-Turabi a dire che Khalil Ibrahim è stato ucciso "in stile Nato", paragonando la sua morte a quella di Gheddafi.
Dove sta la verità? Difficile dirlo. E cosa ci faceva Ibrahim nell'area in cui, secondo il governo, è stato ucciso? Era in marcia verso Khartoum, come il suo stesso movimento aveva annunciato, o verso il Sud Sudan, come ha invece detto il governo, che accusa Juba di sostenere le ribellioni interne al Sudan, Splm/a-N in testa?
Non ci sono risposte certe, almeno per adesso. Ma forse tutti questi dettagli passano in secondo piano rispetto alla vera grande domanda: cosa succederà adesso al Jem? E allo Ssdm/a? La morte dei loro leader segnerà la fine di questi movimenti ribelli o solo un colpo molto duro ma non definitivo? E quali conseguenze ci saranno sugli pseudo processi di pacificazione del Sud Sudan e del Darfur?
Per quel che riguarda il Sudan, secondo Alex de Waal, intervistato dal programma della BBC "Africa Today", molto dipenderà dalla risposta del governo di Khartoum "ai conflitti politici che esistono non solo in Darfur, ma anche in altre parti del Sudan". Il miglior approccio alla questione, dice de Waal, sarebbe "un processo all-inclusive, per scrivere una nuova costituzione per il paese dopo la secessione del Sud Sudan. Il Sudan ha bisogno di re-inventarsi come stato arabo e africano allo stesso tempo". Tenendo conto che il conflitto in Kordofan meridionale e in Nilo Azzurro, quello quindi tra governo e Splm/a-N, "è una minaccia politica e militare di gran lunga più seria di quando non sia mai stato il Jem".
P.S.: Sudan Tribune riferisce oggi di una nuova versione della morte di Khalil Ibrahim da parte del governo, molto più vicina a quella fornita dallo stesso Jem. In un'audizione in parlamento, il ministro della difesa sudanese ha ammesso che Ibrahim è stato ucciso da un missile sganciato da un aereo. Ha detto anche che parte dei ribelli del Jem erano in marcia verso il Kordofan meridionale, con l'obiettivo di raggiungere gli Spla-N guidati da Abdel Aziz al-Hilu. Difficile dire se sia vero o no, ma la ricostruzione è senz'altro credibile.
Due morti che hanno smosso le acque limacciose delle situazioni interne di Sudan e Sud Sudan e che potrebbero avere delle conseguenze di medio e lungo termine. O forse no, perché è difficile, ora come ora, prevedere cosa succederà ai movimenti che i due leader avevano fondato e che dirigevano e come quindi evolveranno le cose.
Ma chi erano George Athor e Khalil Ibrahim? Iniziamo dal primo a cadere, l'ultimo a prendere le armi contro il suo governo. Fino a inizio 2010 Athor è stato un generale dello Spla, l'ex movimento ribelle diventato, dopo la pace del 2005, esercito regolare del Sud Sudan. Negli anni successivi al Cpa era stato promosso a vice capo di stato maggiore del nuovo esercito, con la delega per l'orientamento politico e morale. Ma alla vigilia delle elezioni generali del 2010 Athor ha deciso di sfidare il candidato scelto dal partito per il posto di governatore dello stato di Jonglei, Kuol Manyang Juuk, e si è quindi presentato come indipendente. Quando le urne hanno dato la vittoria a Kuol Manyang, Athor non ha accettato il risultato, a suo dire (e secondo molti altri in Jonglei) fasullo, e ha preso le armi contro l'esercito di cui aveva fatto parte, nei suoi gradi più alti, fino a pochi mesi prima.
Alla testa del suo South Sudan democratic movement/army (Ssdm/a), Athor è diventato così il più forte leader ribelle del nascente Sud Sudan, operando, come le altre insurrezioni sudsudanesi, soprattutto nelle turbolente e strategicamente importantissime aree di frontiera dell'Alto Nilo occidentale, dello Unity orientale e del Jonglei settentrionale.
Le armi si erano fermate solo a fine 2010, in modo da permettere un pacifico svolgimento del referendum per l'autodeterminazione nella settimana dal 9 al 15 gennaio 2011. Già a febbraio Athor e gli altri hanno ricominciato a combattere. Ma anche a rispondere alle aperture negoziali del governo di Juba. Qualcuno degli altri leader ribelli ha accettato un accordo con il governo sudsudanese, in un caso, quello di Gatluak Gai, pare pagando con la vita.
Anche Athor aveva, negli ultimi mesi, segretamente negoziato con Juba. Raggiungendo un accordo e rifiutandolo subito dopo. Almeno questo è quello che si dice. Ciò che si sa per certo è che Athor è morto a Morobo, in Equatoria centrale, quasi sul confine con la Repubblica democratica del Congo. Ovvero a centinaia e centinaia di chilometri dalle aree in cui era operativo. Si sa anche che Athor viaggiava con un falso passaporto keniota. Ma qui ricominciano le domande senza risposta. Innanzitutto, come è morto? Le versioni di Juba e dello Ssdm sono diverse: uno scontro a fuoco non previsto secondo il governo, un plot internazionale, con un ruolo di spicco per l'Uganda e il suo presidente Museveni, per lo Ssdm/a. Seconda domanda: che ci faceva Athor a Morobo? Cercava reclute per il suo esercito ribelle, secondo Juba. Possibile? Forse, ma poco probabile, vista la grande distanza e la diversa composizione etnica della zona rispetto alle aree a prevalenza nuer in cui lo Ssdm/a è attivo. A meno che non ci fosse lo zampino di Khartoum, da sempre accusata da Juba di sostenere le ribellioni interne al Sud Sudan, Athor in primis, e che in quelle aree di confine che spesso sfuggono a qualsiasi controllo da parte dei governi centrali ha in passato già sostenuto il nord-ugandese Joseph Kony e il suo Lord's resistance army (Lra).
Anche Khalil Ibrahim ha avuto una parabola simile a quella di Athor, anche se la sua ribellione è durata di più. E' stato parte del movimento islamista fin dagli anni Ottanta, combattendo con le Popular defence forces (Pdf) contro lo Splm/a e ottenendo un incarico ministeriale in Darfur. A fine 1999, al momento della frattura tra Bashir e Turabi, ha preso le parti di quest'ultimo, uscendo così dal National congress party (Ncp) al potere. Negli anni di guerra in Darfur, da gruppo minoritario il Jem è diventato quello più forte militarmente, grazie anche (forse soprattutto) all'appoggio del Ciad e della Libia di Gheddafi. Ma nell'ultimo anno e mezzo, dopo il riavvicinamento tra N'djamena e Khartoum, l'appoggio del Ciad era venuto meno, in modo plateale: atterrando a N'djamena dove passava molto tempo, nel maggio 2010 Ibrahim era stato respinto e rimandato a Tripoli, dove è rimasto fino a qualche mese fa. E' ricomparso in Nord Darfur dopo la caduta della capitale libica e di Gheddafi, probabilmente dopo aver prestato i suoi uomini per la difesa del regime della Guida e con un buon carico di armi.
Nei giorni scorsi il Jem, che aveva rotto i negoziati con Khartoum anni fa e che negli ultimi mesi aveva accettato di allearsi con gli altri due principali gruppi ribelli del Darfur, lo Slm/a di Minni Minnawi e quello di Abdel Wahid al-Nur, e con lo Splm/a-Nord in una nuova coalizione ribelle, il Sudan revolutionary front (Srf), con l'obiettivo dichiarato di far cadere il governo di Bashir, aveva annunciato di essere in marcia verso Khartoum, nel tentativo di replicare l'offensiva che nel maggio 2008 aveva portato il Jem quasi alla confluenza dei due Nili, a pochi chilometri dal palazzo presidenziale.
Il 25, la svolta: il portavoce delle Saf, l'esercito sudanese, ha dato la notizia della morte di Ibrahim, per le ferite riportate durante la battaglia dei giorni precedenti a Um Gozain, in Kordofan settentrionale. Ma anche in questo caso le versioni sono diverse. Perché secondo il Jem Ibrahim è stato invece ucciso da un missile lanciato sulla macchina in cui stava dormendo. Un missile che, per ammissione dello stesso Jem, avrebbe avuto una precisione di gran lunga maggiore di quelli in dotazione alle Saf, tanto da indurre oggi Hassan al-Turabi a dire che Khalil Ibrahim è stato ucciso "in stile Nato", paragonando la sua morte a quella di Gheddafi.
Dove sta la verità? Difficile dirlo. E cosa ci faceva Ibrahim nell'area in cui, secondo il governo, è stato ucciso? Era in marcia verso Khartoum, come il suo stesso movimento aveva annunciato, o verso il Sud Sudan, come ha invece detto il governo, che accusa Juba di sostenere le ribellioni interne al Sudan, Splm/a-N in testa?
Non ci sono risposte certe, almeno per adesso. Ma forse tutti questi dettagli passano in secondo piano rispetto alla vera grande domanda: cosa succederà adesso al Jem? E allo Ssdm/a? La morte dei loro leader segnerà la fine di questi movimenti ribelli o solo un colpo molto duro ma non definitivo? E quali conseguenze ci saranno sugli pseudo processi di pacificazione del Sud Sudan e del Darfur?
Per quel che riguarda il Sudan, secondo Alex de Waal, intervistato dal programma della BBC "Africa Today", molto dipenderà dalla risposta del governo di Khartoum "ai conflitti politici che esistono non solo in Darfur, ma anche in altre parti del Sudan". Il miglior approccio alla questione, dice de Waal, sarebbe "un processo all-inclusive, per scrivere una nuova costituzione per il paese dopo la secessione del Sud Sudan. Il Sudan ha bisogno di re-inventarsi come stato arabo e africano allo stesso tempo". Tenendo conto che il conflitto in Kordofan meridionale e in Nilo Azzurro, quello quindi tra governo e Splm/a-N, "è una minaccia politica e militare di gran lunga più seria di quando non sia mai stato il Jem".
P.S.: Sudan Tribune riferisce oggi di una nuova versione della morte di Khalil Ibrahim da parte del governo, molto più vicina a quella fornita dallo stesso Jem. In un'audizione in parlamento, il ministro della difesa sudanese ha ammesso che Ibrahim è stato ucciso da un missile sganciato da un aereo. Ha detto anche che parte dei ribelli del Jem erano in marcia verso il Kordofan meridionale, con l'obiettivo di raggiungere gli Spla-N guidati da Abdel Aziz al-Hilu. Difficile dire se sia vero o no, ma la ricostruzione è senz'altro credibile.
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