Le piogge sono in arrivo, in alcune
zone sono già cominciate. E per i prossimi sei mesi trasformeranno
migliaia di chilometri quadrati di terreni aridi in fango e paludi,
in molti casi impercorribili. Un ambiente difficile in ogni caso, ma
che nelle regioni di confine tra Sudan e Sud Sudan rischia di
peggiorare drammaticamente una situazione già molto critica dal
punto di vista umanitario. Gli
appelli all'azione – rapida, incisiva – si susseguono da giorni.
Andando tutti nella stessa direzione: con le piogge, è possibile che
una carestia già all'orizzonte diventi realtà, che le operazioni di
emergenza delle organizzazioni internazionali, governative e non,
vengano pesantemente rallentate se non fermate del tutto e che quindi
il numero di persone in situazione di gravissimo disagio cresca a
dismisura.
La prima cosa da fare è fermare gli scontri armati. Lo
chiedono le ong internazionali – Christian Aid, International
Rescue Committee, Oxfam, Refugees International e Save the Children –
che lavorano nei campi profughi aperti in territorio sud-sudanese, ma
a pochi chilometri dal confine con il Sudan, e che martedì hanno
firmato un comunicato congiunto. L'ha ribadito Lise Grande,
coordinatrice umanitaria dell'Onu in Sud Sudan.
E non si tratta solo del conflitto tra Sudan e Sud Sudan in alcuni
punti del conteso e contestato nuovo confine internazionale. Secondo
i dati citati da Grande, questi scontri hanno causato lo spostamento
di circa 20mila persone nei soli mesi di marzo e aprile. Ma ad essi
bisogna aggiungere i circa 375mila sud-sudanesi rientrati nel paese
dopo l'indipendenza, il luglio scorso, dopo decenni passati nel Nord;
i 170mila coinvolti dagli scontri inter-comunitari nello stato di
Jonglei, uno dei dieci che compongono il Sud Sudan; e almeno 110mila
sfollati dall'area di Abyei, regione contesa al confine tra i due
paesi.
"Istantanea umanitaria" dell'ONU aggiornata al 30 aprile |
Garantire cibo, un posto dove stare, un minimo di assistenza
sanitaria e la sicurezza a tutte queste persone è già un'impresa
ardua in un paese quasi senza infrastrutture e che da gennaio scorso
non ha più entrate, dopo la decisione del governo di bloccare
completamente la produzione petrolifera, conseguenza di un estenuante
e ancora irrisolto braccio di ferro con il governo di Khartoum. Ma il
numero dei sud-sudanesi a rischio fame è di gran lunga maggiore.
L'insicurezza alimentare, dicono le stime, potrebbe coinvolgere circa
4,7 milioni di persone, visto che i conflitti e le deteriorate
condizioni economiche hanno fatto salire alle stelle i prezzi dei
cereali di maggior diffusione.
Se questa è il preoccupante quadro del Sud Sudan, non va meglio
appena più a nord, entro i confini del Sudan, negli stati del
Kordofan meridionale e del Nilo Azzurro. Qui il conflitto riaccesosi
la scorsa estate, a giugno e a settembre rispettivamente, che mette
di fronte il governo di Khartoum e il Sudan people's liberation
movement/army-North (Splm/a-N), ha in moltissimi casi impedito alla
popolazione locale di seguire i normali ritmi agricoli.
Campi non
coltivati significano nessun raccolto per i prossimi mesi. E le prospettive diventano pessime. Con una complicazione, molto seria, in più: l'impossibilità, per le
organizzazioni umanitarie, di operare sul terreno. Khartoum ha finora
negato qualsiasi accesso. Lo Splm/a-N ha firmato intese con Unione
Africana, Nazioni Unite e Lega Araba e la settimana scorsa ha reso
noti i dati di una sua missione di verifica in Nilo Azzurro che parla
di circa 400mila persone a rischio carestia se non si interviene
subito. Secondo l'Onu sarebbero invece circa 300mila e 50mila
rispettivamente gli sfollati interni nei due stati.
L'impossibilità di verifiche indipendenti della situazione sul
terreno rende difficile avere numeri certi. Ma nelle ultime settimane
i profughi che dal Kordofan meridionale e dal Nilo Azzurro sono
arrivati nei campi in Sud Sudan hanno mostrato più diffusi segni di
malnutrizione, in particolare tra i bambini. Un numero via via
maggiore, e in condizioni peggiori, quindi. Arrivati in campi
profughi che tra qualche settimana potrebbero essere irraggiungibili
via terra anche per i mezzi fuoristrada delle agenzie internazionali.
L'articolo è oggi anche su Repubblica.it, nella rubrica Mondo Solidale.
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