Una giornata intensa tra i tweeps sudanesi, quella di ieri. Iniziata come sempre, con notizie e commenti che riguardano il paese, man mano che le ore passavano ha preso una piega diversa. Mentre da Khartoum la giornalista e blogger Maha el-Sanosi, alias @MimzicalMimz, raccontava della sua visita al marito di un'insegnante e attivista nuba, Jalila Khamis Koko, prelevata dai servizi segreti nella notte di quattro giorni fa e da allora sparita, Moez Ali, alias @his_moezness, già iniziava a fare dell'amara ironia su George Clooney, il suo incontro con Barak Obama e il suo attivismo pro-Sudan. All'hashtag #FreeJalila, si alternava quindi lo #SlapGeorgeClooney (date uno schiaffo a George Clooney). Perché "la politica non è un posto per la filantropia o l'altruismo" e perché "sì, il Sudan ha bisogno dell'attenzione dei media. Ma non del tipo che Clooney cerca".
A una certa ora del pomeriggio, però, i toni si sono fatti più accesi. La notizia dell'arresto di Clooney di fronte all'ambasciata sudanese di Washington, DC, fa rapidamente il giro del mondo, ribattuta dai siti di giornali e riviste e riproposta nelle edizioni delle news di network televisivi e radiofonici di tutto il mondo. Anche su Twitter, #Clooney e #Sudan diventano molto velocemente virali. E' a questo punto che i tweeps sudanesi si arrabbiano. Molto. Alle voci di Mimz e Moez si uniscono quelle di @Masrudanya e di @elzubeir, sempre molto attivi. E la linea è sempre la stessa: "vorrei che ci fossero news e hashtag virali di questa portata quando ogni giorno gli attivisti in Sudan vengono arrestati per le loro proteste contro Bashir", dice verso metà pomeriggio @Masrudanya. Che continua: "Clooney? Chi se ne frega. La lotta dei sudanesi contro il regime in Sudan è costata a molti la loro vita, salute mentale e fisica, sia in carcere che fuori".
L'insofferenza e la delusione per una disattenzione costante ai reali problemi del paese, che diventa ancora più evidente in giornate come quella di ieri, durante le quali apparentemente tutti parlano di Sudan ma nessuno va a chiedere ai sudanesi cosa pensano e per cosa lottano, trova la chiave di volta in un'idea brillante di @elzubeir: usare l'hashtag #FreeClooney, già diventato virale e ribattuto da fan in tutto il mondo "che probabilmente si stanno dannando per cercare il Sudan sul mappamondo", per trasmettere informazioni più corrette e complete sulla complessa situazione del paese, sfruttando la cassa di risonanza dell'arresto del bel George per farle arrivare al maggior numero di persone. E via allora con precisazioni sulla guerra in Darfur, su quella in Kordofan meridionale e in Nilo Azzurro, sui prigionieri politici in carcere da mesi, sulla censura che colpisce i giornalisti, sugli attivisti spariti e su quelli uccisi, indipendentemente dalla loro origine etnica. A dimostrazione che sì, sui Monti Nuba ci sono interi villaggi che vivono nelle grotte, in povertà estrema e sotto la costante minaccia delle bombe sganciate dagli Antonov, come si vede nell'ultimo video messo in rete dallo stesso Clooney prima della sua due-giorni di Washington, ma che in Sudan c'è anche una società civile viva e combattiva, giovani brillanti che usano indifferentemente arabo e inglese nei loro scritti e nelle loro azioni e che rischiano, molto, quotidianamente.
Il bilancio della giornata e dell'intera vicenda arriva oggi, in un nuovo post di Moez Ali sul suo blog, che mette in luce quelle che, a suo parere, sono le gravi mancanze dell'azione di Clooney e di molto attivismo occidentale: non ci sono dubbi sulla reale preoccupazione di attivisti e funzionari per la sorte della gente del Kordofan meridionale, ma "a meno che non capiscano le cause del conflitto e le conseguenze della loro pubblicità, non aiuteranno nessuno. Queste notizie danno solo a Mr Bashir e al suo governo ulteriori ragioni per continuare la loro guerra in Kordofan".
Forse, invece di continuare a parlare del breve e indolore arresto di Clooney con l'illusione di star parlando di Sudan, sarebbe il caso di raccontare cosa sta davvero succedendo in un paese grande, complesso, ricco di fragilità e di sfide, il cui futuro ora come ora non sembra certo roseo. E, per farlo, sarebbe il caso di stare a sentire cos'hanno da dire i sudanesi stessi. Basta qualche click.
---------
Questo è l'articolo che avrei voluto scrivere oggi per qualche giornale. Ma non sono riuscita a piazzarlo. Oddio, non c'ho provato moltissimo. Tra giornali in chiusura e quelli che senz'altro mai prenderebbero un pezzo del genere non c'è molta scelta oltre al proprio blog. Però per me era questo il pezzo da scrivere. Questo o uno che spiegasse la guerra in Kordofan meridionale e in Nilo Azzurro, in corso dalla scorsa estate. Malesh, lo pubblico solo qui e su Lettera22.
Quando giovedì ho scritto il post precedente, su Kony2012 ma facendo riferimento anche alle campagne di Clooney sia per il Darfur che per i Monti Nuba, non potevo immaginare che il giorno dopo lo splendido George si sarebbe fatto arrestare. Né che sarebbe finito in manette anche il co-fondatore di Invisible Children, nonché regista e voce narrante di Kony2012, per atti osceni in luogo pubblico. Nel frattempo, però, sono usciti altri commenti su una o l'altra vicenda (o su entrambe). Metto i link qui di seguito, ma riporto integralmente l'ultima parte di un nuovo post di Alex de Waal, che mi pare sintetizzi meglio di altri (e con maggior cognizione di causa) la questione.
Ecco i link:
"Kony: what's to be done?", di Alex de Waal
"Never mind Kony, let's Stop Clooney", di Rob Crilly
"StopKony fine, but post-conflict in Northern Uganda is the real story", di Marjoke Oosterom
"U.S. strategic interests in Uganda", di Stratford
Buona lettura!
A una certa ora del pomeriggio, però, i toni si sono fatti più accesi. La notizia dell'arresto di Clooney di fronte all'ambasciata sudanese di Washington, DC, fa rapidamente il giro del mondo, ribattuta dai siti di giornali e riviste e riproposta nelle edizioni delle news di network televisivi e radiofonici di tutto il mondo. Anche su Twitter, #Clooney e #Sudan diventano molto velocemente virali. E' a questo punto che i tweeps sudanesi si arrabbiano. Molto. Alle voci di Mimz e Moez si uniscono quelle di @Masrudanya e di @elzubeir, sempre molto attivi. E la linea è sempre la stessa: "vorrei che ci fossero news e hashtag virali di questa portata quando ogni giorno gli attivisti in Sudan vengono arrestati per le loro proteste contro Bashir", dice verso metà pomeriggio @Masrudanya. Che continua: "Clooney? Chi se ne frega. La lotta dei sudanesi contro il regime in Sudan è costata a molti la loro vita, salute mentale e fisica, sia in carcere che fuori".
L'insofferenza e la delusione per una disattenzione costante ai reali problemi del paese, che diventa ancora più evidente in giornate come quella di ieri, durante le quali apparentemente tutti parlano di Sudan ma nessuno va a chiedere ai sudanesi cosa pensano e per cosa lottano, trova la chiave di volta in un'idea brillante di @elzubeir: usare l'hashtag #FreeClooney, già diventato virale e ribattuto da fan in tutto il mondo "che probabilmente si stanno dannando per cercare il Sudan sul mappamondo", per trasmettere informazioni più corrette e complete sulla complessa situazione del paese, sfruttando la cassa di risonanza dell'arresto del bel George per farle arrivare al maggior numero di persone. E via allora con precisazioni sulla guerra in Darfur, su quella in Kordofan meridionale e in Nilo Azzurro, sui prigionieri politici in carcere da mesi, sulla censura che colpisce i giornalisti, sugli attivisti spariti e su quelli uccisi, indipendentemente dalla loro origine etnica. A dimostrazione che sì, sui Monti Nuba ci sono interi villaggi che vivono nelle grotte, in povertà estrema e sotto la costante minaccia delle bombe sganciate dagli Antonov, come si vede nell'ultimo video messo in rete dallo stesso Clooney prima della sua due-giorni di Washington, ma che in Sudan c'è anche una società civile viva e combattiva, giovani brillanti che usano indifferentemente arabo e inglese nei loro scritti e nelle loro azioni e che rischiano, molto, quotidianamente.
Il bilancio della giornata e dell'intera vicenda arriva oggi, in un nuovo post di Moez Ali sul suo blog, che mette in luce quelle che, a suo parere, sono le gravi mancanze dell'azione di Clooney e di molto attivismo occidentale: non ci sono dubbi sulla reale preoccupazione di attivisti e funzionari per la sorte della gente del Kordofan meridionale, ma "a meno che non capiscano le cause del conflitto e le conseguenze della loro pubblicità, non aiuteranno nessuno. Queste notizie danno solo a Mr Bashir e al suo governo ulteriori ragioni per continuare la loro guerra in Kordofan".
Forse, invece di continuare a parlare del breve e indolore arresto di Clooney con l'illusione di star parlando di Sudan, sarebbe il caso di raccontare cosa sta davvero succedendo in un paese grande, complesso, ricco di fragilità e di sfide, il cui futuro ora come ora non sembra certo roseo. E, per farlo, sarebbe il caso di stare a sentire cos'hanno da dire i sudanesi stessi. Basta qualche click.
---------
Questo è l'articolo che avrei voluto scrivere oggi per qualche giornale. Ma non sono riuscita a piazzarlo. Oddio, non c'ho provato moltissimo. Tra giornali in chiusura e quelli che senz'altro mai prenderebbero un pezzo del genere non c'è molta scelta oltre al proprio blog. Però per me era questo il pezzo da scrivere. Questo o uno che spiegasse la guerra in Kordofan meridionale e in Nilo Azzurro, in corso dalla scorsa estate. Malesh, lo pubblico solo qui e su Lettera22.
Quando giovedì ho scritto il post precedente, su Kony2012 ma facendo riferimento anche alle campagne di Clooney sia per il Darfur che per i Monti Nuba, non potevo immaginare che il giorno dopo lo splendido George si sarebbe fatto arrestare. Né che sarebbe finito in manette anche il co-fondatore di Invisible Children, nonché regista e voce narrante di Kony2012, per atti osceni in luogo pubblico. Nel frattempo, però, sono usciti altri commenti su una o l'altra vicenda (o su entrambe). Metto i link qui di seguito, ma riporto integralmente l'ultima parte di un nuovo post di Alex de Waal, che mi pare sintetizzi meglio di altri (e con maggior cognizione di causa) la questione.
I have a number of concerns about the impact of simplistic and paternalistic portrayals of African problems, in which Africans are treated as children waiting for Americans and Europeans to save them. I have concerns about military action being presented as the principal solution.
I also have another concern, less often voiced: the high level of attention on Kony is a distraction from other issues that are equally grave or more so. Senior policymakers’ time is a very scarce resource. I recall that in 2006, senior officials in the U.S. administration estimated that President George Bush was spending more time focusing on Sudan (mostly on Darfur) than on China. What this meant in detail was that, (1) White House and State Department staff spent more time dealing with the U.S. activist groups than with the problems in Sudan itself, (2) decisions were shaped and timed by the demands of those campaigners as much as by the requirements of Sudanese realities, and (3) there was no other African political issue that could make it on to the agenda of the top decision-makers in Washington DC. Darfur was important, but not that important. Also, this exceptionally high level of attention gave the Darfur rebels the impression that they were very special indeed and could behave accordingly.
I am worried that the African troops chasing Kony will think that they have special privileges, and that the hunt for the LRA will drive other African issues off the U.S. policy agenda. Given that Invisible Children has achieved – in an election year – the remarkable feat of joining liberal internationalist students with hard-right Republican evangelicals, I worry that the U.S. administration’s Africa staff will focus more effort on managing the implications of the KONY2012 campaign than responding to the many and complicated problems of the central African region.
Ecco i link:
"Kony: what's to be done?", di Alex de Waal
"Never mind Kony, let's Stop Clooney", di Rob Crilly
"StopKony fine, but post-conflict in Northern Uganda is the real story", di Marjoke Oosterom
"U.S. strategic interests in Uganda", di Stratford
Buona lettura!
Nessun commento:
Posta un commento