venerdì 18 maggio 2012

Piogge ed emergenze umanitarie


Le piogge sono in arrivo, in alcune zone sono già cominciate. E per i prossimi sei mesi trasformeranno migliaia di chilometri quadrati di terreni aridi in fango e paludi, in molti casi impercorribili. Un ambiente difficile in ogni caso, ma che nelle regioni di confine tra Sudan e Sud Sudan rischia di peggiorare drammaticamente una situazione già molto critica dal punto di vista umanitario. Gli appelli all'azione – rapida, incisiva – si susseguono da giorni. Andando tutti nella stessa direzione: con le piogge, è possibile che una carestia già all'orizzonte diventi realtà, che le operazioni di emergenza delle organizzazioni internazionali, governative e non, vengano pesantemente rallentate se non fermate del tutto e che quindi il numero di persone in situazione di gravissimo disagio cresca a dismisura. 

La prima cosa da fare è fermare gli scontri armati. Lo chiedono le ong internazionali – Christian Aid, International Rescue Committee, Oxfam, Refugees International e Save the Children – che lavorano nei campi profughi aperti in territorio sud-sudanese, ma a pochi chilometri dal confine con il Sudan, e che martedì hanno firmato un comunicato congiunto. L'ha ribadito Lise Grande, coordinatrice umanitaria dell'Onu in Sud Sudan.

E non si tratta solo del conflitto tra Sudan e Sud Sudan in alcuni punti del conteso e contestato nuovo confine internazionale. Secondo i dati citati da Grande, questi scontri hanno causato lo spostamento di circa 20mila persone nei soli mesi di marzo e aprile. Ma ad essi bisogna aggiungere i circa 375mila sud-sudanesi rientrati nel paese dopo l'indipendenza, il luglio scorso, dopo decenni passati nel Nord; i 170mila coinvolti dagli scontri inter-comunitari nello stato di Jonglei, uno dei dieci che compongono il Sud Sudan; e almeno 110mila sfollati dall'area di Abyei, regione contesa al confine tra i due paesi.

"Istantanea umanitaria" dell'ONU aggiornata al 30 aprile 
Garantire cibo, un posto dove stare, un minimo di assistenza sanitaria e la sicurezza a tutte queste persone è già un'impresa ardua in un paese quasi senza infrastrutture e che da gennaio scorso non ha più entrate, dopo la decisione del governo di bloccare completamente la produzione petrolifera, conseguenza di un estenuante e ancora irrisolto braccio di ferro con il governo di Khartoum. Ma il numero dei sud-sudanesi a rischio fame è di gran lunga maggiore. L'insicurezza alimentare, dicono le stime, potrebbe coinvolgere circa 4,7 milioni di persone, visto che i conflitti e le deteriorate condizioni economiche hanno fatto salire alle stelle i prezzi dei cereali di maggior diffusione.

Se questa è il preoccupante quadro del Sud Sudan, non va meglio appena più a nord, entro i confini del Sudan, negli stati del Kordofan meridionale e del Nilo Azzurro. Qui il conflitto riaccesosi la scorsa estate, a giugno e a settembre rispettivamente, che mette di fronte il governo di Khartoum e il Sudan people's liberation movement/army-North (Splm/a-N), ha in moltissimi casi impedito alla popolazione locale di seguire i normali ritmi agricoli. 

Campi non coltivati significano nessun raccolto per i prossimi mesi. E le prospettive diventano pessimeCon una complicazione, molto seria, in più: l'impossibilità, per le organizzazioni umanitarie, di operare sul terreno. Khartoum ha finora negato qualsiasi accesso. Lo Splm/a-N ha firmato intese con Unione Africana, Nazioni Unite e Lega Araba e la settimana scorsa ha reso noti i dati di una sua missione di verifica in Nilo Azzurro che parla di circa 400mila persone a rischio carestia se non si interviene subito. Secondo l'Onu sarebbero invece circa 300mila e 50mila rispettivamente gli sfollati interni nei due stati.

L'impossibilità di verifiche indipendenti della situazione sul terreno rende difficile avere numeri certi. Ma nelle ultime settimane i profughi che dal Kordofan meridionale e dal Nilo Azzurro sono arrivati nei campi in Sud Sudan hanno mostrato più diffusi segni di malnutrizione, in particolare tra i bambini. Un numero via via maggiore, e in condizioni peggiori, quindi. Arrivati in campi profughi che tra qualche settimana potrebbero essere irraggiungibili via terra anche per i mezzi fuoristrada delle agenzie internazionali.




L'articolo è oggi anche su Repubblica.it, nella rubrica Mondo Solidale

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