mappa tratta dal sito priceofall.org |
Vero. A dirlo così, però, si rischia di dare un'immagine sfocata della situazione attuale. Perché la Cina, che nei suoi rapporti e affari con governi stranieri, in Africa e non solo, bada più alla sostanza che alle parole, con gran pragmatismo ha iniziato a curare i rapporti con lo Splm/a immediatamente dopo la fine della guerra civile, nel 2005. Sì, si trattava degli ex ribelli che Khartoum aveva combattuto fino al giorno prima anche grazie alla Cina, senza le cui compagnie petrolifere e i cui capitali difficilmente il Sudan degli anni Novanta, isolato internazionalmente, sarebbe diventato produttore di petrolio. Ma il Cpa del 2005 era chiaro: i proventi del petrolio sudsudanese, ovvero il 75% dell'intera produzione nazionale, sarebbero stati spartiti fifty-fifty tra Khartoum e il neonato governo autonomo di Juba, guidato proprio dagli ex ribelli. E dopo sei anni, quindi nel 2011, il Sud - nei cui campi petroliferi le compagnie cinesi, indiane e malesi avevano già investito pesantemente negli anni precedenti la firma della pace - avrebbe scelto se diventare indipendente.
La prima visita semi-ufficiale di una delegazione dello Splm a Pechino è del marzo 2005. Due mesi dopo la firma del Cpa, sei prima della formazione del governo di unità nazionale a Khartoum e di quello autonomo di Juba. Molto presto, quindi, a dimostrare come, sia per lo Splm (che ancora non è entrato a Juba, lo farà solo a inizio agosto) che per Pechino, sia prioritario sgomberare subito il terreno da qualsiasi possibile problema. A capo della delegazione c'è Salva Kiir Mayardit, vice di Garang, che alla morte di quest'ultimo, il 30 luglio in un incidente aereo, ne prende il posto sia a capo dello Splm/a, sia come primo vicepresidente della repubblica e presidente del Sud.
I contatti tra Cina e Splm sono stati quindi di altissimo livello fin dall'inizio. E sono continuati così, in particolare dopo che, nel 2008, Pechino ha deciso di aprire un consolato a Juba. Sempre a prova del proverbiale pragmatismo cinese: nel caso, probabile, di separazione tra le due parti del paese, le compagnie cinesi si sarebbero (ed effettivamente si sono) trovate a operare nei campi petroliferi della nuova repubblica, per produrre quel petrolio che attraverso il Nord Sudan sarebbe poi andato a riempire le petroliere attraccate a Port Sudan e destinate al mercato interno cinese.
Nel frattempo le relazioni tra Cina e Khartoum sono sempre continuate nel migliore dei modi. In (Nord) Sudan le compagnie cinesi non sono solo attive nel settore petrolifero, ma anche in quello delle grandi infrastrutture (dighe, strade, ecc.), delle costruzioni e via dicendo. Quindi, sì, la Cina è un alleato di Khartoum. Ma lo è anche di Juba. Per questo, di fronte all'impasse post-secessione sulla questione petrolifera entrambi i governi hanno chiesto a Pechino di intervenire. E Pechino l'ha fatto. Non subito, perché almeno ufficialmente per mesi ha lasciato che le parti se la sbrigassero da sole. Ma quando a dicembre scorso il governo di Khartoum ha deciso di requisire il petrolio sudsudanese già acquistato dalla Cina (e dal Giappone, altro importante compratore del greggio di Juba), il governo cinese, piccato, ha immediatamente inviato il proprio inviato speciale per il Sudan nelle due capitali.
Ancora più preoccupata è stata la reazione di Pechino alla decisione di Juba di bloccare completamente la produzione petrolifera. Come spiegava bene un'analisi della Reuters di qualche giorno fa, senza il petrolio sudsudanese e con le nuove sanzioni su quello iraniano, sia Cina che Giappone hanno bisogno di nuove fonti di approvvigionamento e questo potrebbe spingere verso l'alto i prezzi internazionali del greggio. La decisione di Juba ha inoltre dei costi alti anche per le compagnie cinesi, indiane e malesi che lavorano in quei campi petroliferi e che partecipano ai consorzi che gestiscono oleodotto e raffinerie sudanesi. Gli interessi in gioco sono quindi molti e il rischio, sempre più concreto, di una nuova guerra non può certo tranquillizzare nessuno.
A queste preoccupazioni si è aggiunta la questione del rapimento dei lavoratori cinesi, che ha avuto una grande eco in Cina. Per diversi giorni le notizie sono state confuse. Ciò che è certo però è che lo Splm/a-N, che aveva in custodia i 29 lavoratori della Sinohydro Corporation (altri 17 sono stati immediatamente evacuati a Khartoum dall'esercito mentre il corpo senza vita dell'unico disperso è stato trovato nei giorni scorsi), ha sempre detto di non aver nulla contro la Cina. Inusuale per un sequestro. Ancora più inusuale è che la leadership di un gruppo che ha appena effettuato un rapimento si incontri con l'ambasciatore del paese di origine dei sequestrati per parlare della questione. Eppure è andata così: Malik Agar e Yasir Arman, rispettivamente presidente e segretario generale dello Splm-N, hanno incontrato e discusso con l'ambasciatore cinese in Etiopia, per assicurare la massima cooperazione per garantire la sicurezza dei cittadini cinesi e il loro ritorno a casa.
Il fatto è che lo Splm/a-N non l'ha mai considerato un sequestro. Piuttosto, stando ai comunicati ufficiali del movimento, un'azione di protezione dei "Chinese workers and technicians who were constructing a road in the Abassya-Rashad area where the Sudan government laid a failed ambush against the Spla-N". Utilizzandola anche per il proprio tornaconto politico, come strumento di pressione sul governo cinese affinché faccia pressione sul governo di Khartoum per risolvere "la questione settentrionale" e affinché intervenga dal punto di vista umanitario in Kordofan meridionale e Nilo Azzurro.
E' improbabile che accada, almeno a breve. L'attenzione ora è tutta sui rapporti Nord-Sud e sul rischio di una nuova guerra. Non più una guerra civile, ma una guerra tra due paesi indipendenti. Ma di questo parlerò in un altro post.
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