lunedì 9 luglio 2012

Happy birthday, South Sudan!

Celebrazioni per l'indipendenza, Juba, 9 luglio 2011 (foto J. Vieira)
E' passato un anno. Un anno dai caroselli di macchine nella notte di Juba, dalle celebrazioni per la proclamazione dell'indipendenza alla presenza della comunità internazionale e dei rappresentanti di tutte le forze politiche sudanesi, a iniziare dallo Ncp e dal presidente Bashir, dalla festa liberatoria e orgogliosa di un popolo felice di aver finalmente raggiunto l'obiettivo che ha orientato la lotta durata decenni.

Non è stato un anno facile, per niente. In parte c'era da aspettarselo, tutti sapevano che l'ultimo arrivato della comunità internazionale nasceva con standard di sviluppo bassissimi, sfide umanitarie, economiche e sociali da far tremare i polsi e una serie di questioni ancora aperte con il Sudan.
Ma forse in pochi avrebbero potuto prevedere, un anno fa, che lo stallo al tavolo negoziale potesse portare a posizioni quasi suicide, quantomeno dal punto di vista economico, da entrambi i lati: l'incapacità di entrambi i governi di trovare un punto di incontro sulla questione petrolifera, linfa vitale di entrambe le economie, ha portato a decisioni via via più radicali - da quella di Khartoum di sequestrare il greggio sudsudanese già imbarcato a Port Sudan a quella di Juba di bloccare totalmente la produzione petrolifera - che non solo hanno reso ancora più difficile trovare un compromesso negoziale, ma hanno anche svuotato le casse di entrambi gli stati e rischiano di avere ripercussioni politiche serie.

Khartoum e il Sudan sono da settimane teatro di proteste, che non accennano a fermarsi nonostante la pesante e violenta reazione dei servizi di sicurezza, scatenate dal piano di austerity che il governo ha dovuto approvare per correre a ripari ed evitare la bancarotta. Non è detto che le #SudanRevolts, come sono conosciute su Twitter, riescano a far cadere il regime. Quel che è certo però è che lo stesso regime, che pure in questi 23 anni si è trovato a dover attraversare molti momenti di crisi, non si era mai trovato di fronte a un'opposizione di piazza più persistente che numerosa, determinata ad andare avanti nonostante i lacrimogeni e gli arresti. Se a ciò si aggiungono la crisi sicuramente meno acuta ma non ancora risolta del Darfur, il conflitto che da un anno a questa parte insanguina il Kordofan meridionale e il Nilo Azzurro e un Est e un estremo Nord che sembrano dare segni di insofferenza, il quadro è completo.

Dal canto suo il governo di Kiir è forse meno a rischio per quel che riguarda il sostegno popolare, perché gode ancora della spinta - forte - che l'ottenimento dell'indipendenza, della "liberazione" com'è chiamata in Sud Sudan, gli ha garantito. Però questa sorta di bonus non durerà per sempre: in un anno i prezzi sono saliti di qualcosa come l'80%, la gente, anche chi ha un lavoro ritenuto buono, fa fatica a coprire le spese di prima necessità. E quando i soldi finiranno (e senza il petrolio, che copriva il 95% circa dell'intero budget nazionale, prima o poi i soldi finiranno) come farà Kiir a gestire un paese enorme, senza infrastrutture, con molte emergenze - non ultima, quella gravissima di dare assistenza ai circa 170mila profughi che si sono riversati in Sud Sudan scappando dal conflitto in Kordofan meridionale e Nilo Azzurro - e con varie ribellioni in corso? Se non ci sarà più di che pagare gli stipendi dello Spla, l'esercito nazionale che, come spiega bene un recente working paper di Small Arms Survey, è ben lungi dall'aver completato il processo di trasformazione da gruppo ribelle in esercito convenzionale, quante altre ribellioni, ammutinamenti e milizie locali nasceranno?

La liberazione non è stata ancora completata, "our liberty today is incomplete", ha detto oggi Salva Kiir nel suo discorso in occasione delle celebrazioni per il primo anniversario dell'indipendenza. "We must be more than liberated. We have to be independent economically". Parole che sicuramente toccano le corde giuste per chiedere ai sudsudanesi dell'altra pazienza, un altro sforzo in quella che sembra essere diventata una "guerra di liberazione con altri mezzi". Ma fino a quando?

Non è tutto perduto, non è troppo tardi. Certo la strada è in salita. E per iniziare a percorrerla ci vorrebbe innanzitutto la volontà politica - a Juba come a Khartoum - di trovare finalmente un compromesso, un punto di incontro sulle molte questioni post-secessione ancora aperte. Sul petrolio, ma anche sul confine, su Abyei, sulle acque di Nilo, sulle questioni più strettamente militari. Senza la volontà politica, una situazione che di per sé, nel migliore dei mondi possibile, avrebbe tutte le carte in regola per portare a una salomonica soluzione win-win continuerà a mettere a repentaglio la tenuta di entrambi i Sudan.

Per un riepilogo dei fatti e delle problematiche emerse in questo primo anno di vita del Sud Sudan, vi consiglio il documentato e sintetico dossier della Campagna Sudan.

Nessun commento:

Posta un commento