Siamo al dodicesimo giorno di proteste in Sudan. Dodici giorni di fila, senza sosta, anche se i numeri di persone scese per le strade nel cuore del paese rappresentato dalle "Tre Città" di Khartoum, Omdurman e Khartoum Nord (Bahri), ma anche a Port Sudan, El Obeid, Medani e Gedaref, non sono stati sempre costanti. Nel mio precedente post, scritto in viaggio dall'iPhone per dare la notizia del fermo della corrispondente di Bloomberg, l'egiziana Salma al-Wardani, e della giornalista, blogger e attivista sudanese Maha al-Sanusi, avevo detto che #SudanRevolts era al quarto giorno. Ma non avevo spiegato come e quando era iniziato: il 16 giugno le studentesse dell'università di Khartoum sono scese per le strade in una protesta un po' improvvisata contro le misure di austerità - in particolare la cancellazione dei prezzi calmierati per zucchero e carburanti - decise dal governo per salvare dalla bancarotta l'economia sudanese, messa in ginocchio dalla perdita delle risorse petrolifere rimaste all'interno dei confini del Sud Sudan, dall'interruzione della produzione petrolifera del paese ex fratello e dalle spese, ingenti, per mantenere in piedi un'amministrazione barocca, un sistema clientelare molto ramificato e le guerre in Darfur, Kordofan meridionale e Nilo Azzurro.
Donne in prima fila, dunque: sono state le donne a dare l'inizio alle manifestazioni, subito raggiunte anche dai loro colleghi maschi, sono (anche) le donne ad animare e pubblicizzare la protesta, come a raccogliere e riportare testimonianze ai media e ai gruppi di difesa dei diritti umani. Salma al-Wardani (@S_Elwardany) e Maha al-Sanusi (@MimzicalMimz) stanno pagando in prima persona. Dopo il fermo dell'altra settimana, durato circa cinque ore durante le quali le due giornaliste sono state interrogate insistentemente ed è stato chiesto loro di tenersi lontane dalle manifestazioni (cosa che nessuna delle due ha fatto), ieri è arrivata la resa dei conti. Salma è stata espulsa, senza che le venisse neanche dato il tempo di tornare a casa a fare le valigie, prendere le sue cose e salutare gli amici. Maha, che via Twitter continuava a fare la cronaca della giornata, compresa la forzata partenza della sua amica, si è vista arrivare a casa gli uomini del NISS, che le hanno chiesto di presentarsi questa mattina nei loro uffici di Khartoum Nord. Nei suoi tweet di stamattina ha rassicurato tutti, cercando anche di alleggerire il tono e la preoccupazione chiedendo di scegliere una foto in cui sia venuta particolarmente bene se i servizi di sicurezza del regime dovessero decidere di trattenerla.
Non è un'ipotesi remota, visto che di altri blogger e attivisti non si sa nulla da giorni. Il più in vista, arrestato dal NISS già quattro giorni fa, è Usamah Mohammed Ali, che twitta come @simsimt. Il 20 giugno era stato arrestato - di nuovo - anche Mohammed Alim "Boshi". Dal momento del loro arresto non ci sono più state loro notizie. Per loro e per i molti altri manifestanti e attivisti arrestati si sono mobilitati gli altri tweeps sudanesi, ma anche Amnesty International and Human Rights Watch.
Però c'è un però: dal gennaio 2011, con l'inizio della rivoluzione in Egitto, la fine del regime di Ben Ali in Tunisia e il referendum per l'autodeterminazione del Sud Sudan in corso, ci sono state varie manifestazioni studentesche a Khartoum e in altre città. Qualche centinaio di persone, disperse con facilità e molti gas lacrimogeni e manganelli dalle forze dell'ordine. Ogni volta le proteste si interrompevano, salvo poi riorganizzarsi dopo settimane e mesi. Questa volta invece si sta continuando, senza sosta, dal 16 giugno. E non si tratta solo di studenti e attivisti: venerdì scorso, al termine delle preghiere, da molte moschee della città uomini di ogni età e background si sono mossi verso il centro di Khartoum e di Omdurman, in quello che è stato chiamato "il venerdì della tempesta di sabbia". Proteste che sono continuate anche sabato e che, sperano gli attivisti, potrebbero ripetersi venerdì prossimo, il 29 giugno, giorno per il quale è già stata convocata un'altra manifestazione.
Un fine settimana di valenza simbolica non indifferente: il 30 giugno 1989 Bashir e gli ufficiali che lo appoggiavano presero il potere. Studenti e attivisti hanno inizialmente posto questa data come termine per far cadere il regime. Sembra difficile, per come stanno le cose in questi giorni, che ciò possa accadere. Ma le altre rivoluzioni arabe ci hanno insegnato ad aspettarci anche l'inverosimile. La stessa storia sudanese lo insegna in realtà. Il Sudan non è nuovo a rivoluzioni pacifiche e in questi giorni i blogger lo stanno sottolineando: non si tratta di un'altra "primavera araba", ma di una caratteristica precipua del popolo sudanese, che pur avendo una storia più che cinquantennale di guerre civili ha sempre fatto finire le dittature militari con manifestazioni di piazza non violente. E' successo nell'ottobre 1964, alla fine degli otto anni di regime di Abboud, e di nuovo nell'aprile 1985, quando fu il regime di Ja'far Nimeiri a cadere dopo 16 anni al potere. Allora era stato il mix di scelte politiche a Khartoum, la guerra civile nel Sud ripresa nel 1983, una carestia quasi senza precedenti che aveva colpito il Darfur e altre zone del paese e una crisi economica molto pesante a far saltare tutti gli equilibri e dare il colpo di grazie al regime.
I paragoni tra momenti storici e situazioni politiche diverse reggono fino a un certo punto, ma quel che potrebbe effettivamente far cambiare la situazione in questi giorni e nelle settimane a seguire è la crisi economica, che è devastante per un regime che si è retto, dal 1999 in poi, soprattutto grazie ai molti soldi del petrolio, che hanno oliato e mantenuto funzionante un motore clientelare complesso, con molte ramificazioni nelle città e nelle regioni periferiche. Ora quel motore rischia di grippare. E lo sa anche Bashir, che ha dovuto sciogliere tutti i governi degli stati che compongono il Sudan e licenziare tutti i suoi consiglieri come effetto della spending review, rischiando così di far saltare delicati equilibri e accordi di potere al centro e nelle periferie.
Donne in prima fila, dunque: sono state le donne a dare l'inizio alle manifestazioni, subito raggiunte anche dai loro colleghi maschi, sono (anche) le donne ad animare e pubblicizzare la protesta, come a raccogliere e riportare testimonianze ai media e ai gruppi di difesa dei diritti umani. Salma al-Wardani (@S_Elwardany) e Maha al-Sanusi (@MimzicalMimz) stanno pagando in prima persona. Dopo il fermo dell'altra settimana, durato circa cinque ore durante le quali le due giornaliste sono state interrogate insistentemente ed è stato chiesto loro di tenersi lontane dalle manifestazioni (cosa che nessuna delle due ha fatto), ieri è arrivata la resa dei conti. Salma è stata espulsa, senza che le venisse neanche dato il tempo di tornare a casa a fare le valigie, prendere le sue cose e salutare gli amici. Maha, che via Twitter continuava a fare la cronaca della giornata, compresa la forzata partenza della sua amica, si è vista arrivare a casa gli uomini del NISS, che le hanno chiesto di presentarsi questa mattina nei loro uffici di Khartoum Nord. Nei suoi tweet di stamattina ha rassicurato tutti, cercando anche di alleggerire il tono e la preoccupazione chiedendo di scegliere una foto in cui sia venuta particolarmente bene se i servizi di sicurezza del regime dovessero decidere di trattenerla.
Non è un'ipotesi remota, visto che di altri blogger e attivisti non si sa nulla da giorni. Il più in vista, arrestato dal NISS già quattro giorni fa, è Usamah Mohammed Ali, che twitta come @simsimt. Il 20 giugno era stato arrestato - di nuovo - anche Mohammed Alim "Boshi". Dal momento del loro arresto non ci sono più state loro notizie. Per loro e per i molti altri manifestanti e attivisti arrestati si sono mobilitati gli altri tweeps sudanesi, ma anche Amnesty International and Human Rights Watch.
Ma le proteste potranno portare al crollo del regime?E' questa la domanda più interessante e importante in questo momento. Alla quale è quasi impossibile dare una risposta certa. In questi 23 anni, Bashir e il suo regime sono riusciti, against all odds, a vincere e superare sfide e momenti talmente difficili che la loro capacità di resistenza, direi quasi di resilienza, è fuori discussione. I servizi di sicurezza hanno, con ogni evidenza, la situazione ancora sotto controllo e non si fanno scrupolo a usare le maniere forti. Questo depone sicuramente a favore della tenuta del regime, che infatti finora è riuscito a evitare che le primavere arabe arrivassero a contagiare Khartoum e il resto del paese.
Però c'è un però: dal gennaio 2011, con l'inizio della rivoluzione in Egitto, la fine del regime di Ben Ali in Tunisia e il referendum per l'autodeterminazione del Sud Sudan in corso, ci sono state varie manifestazioni studentesche a Khartoum e in altre città. Qualche centinaio di persone, disperse con facilità e molti gas lacrimogeni e manganelli dalle forze dell'ordine. Ogni volta le proteste si interrompevano, salvo poi riorganizzarsi dopo settimane e mesi. Questa volta invece si sta continuando, senza sosta, dal 16 giugno. E non si tratta solo di studenti e attivisti: venerdì scorso, al termine delle preghiere, da molte moschee della città uomini di ogni età e background si sono mossi verso il centro di Khartoum e di Omdurman, in quello che è stato chiamato "il venerdì della tempesta di sabbia". Proteste che sono continuate anche sabato e che, sperano gli attivisti, potrebbero ripetersi venerdì prossimo, il 29 giugno, giorno per il quale è già stata convocata un'altra manifestazione.
Un fine settimana di valenza simbolica non indifferente: il 30 giugno 1989 Bashir e gli ufficiali che lo appoggiavano presero il potere. Studenti e attivisti hanno inizialmente posto questa data come termine per far cadere il regime. Sembra difficile, per come stanno le cose in questi giorni, che ciò possa accadere. Ma le altre rivoluzioni arabe ci hanno insegnato ad aspettarci anche l'inverosimile. La stessa storia sudanese lo insegna in realtà. Il Sudan non è nuovo a rivoluzioni pacifiche e in questi giorni i blogger lo stanno sottolineando: non si tratta di un'altra "primavera araba", ma di una caratteristica precipua del popolo sudanese, che pur avendo una storia più che cinquantennale di guerre civili ha sempre fatto finire le dittature militari con manifestazioni di piazza non violente. E' successo nell'ottobre 1964, alla fine degli otto anni di regime di Abboud, e di nuovo nell'aprile 1985, quando fu il regime di Ja'far Nimeiri a cadere dopo 16 anni al potere. Allora era stato il mix di scelte politiche a Khartoum, la guerra civile nel Sud ripresa nel 1983, una carestia quasi senza precedenti che aveva colpito il Darfur e altre zone del paese e una crisi economica molto pesante a far saltare tutti gli equilibri e dare il colpo di grazie al regime.
I paragoni tra momenti storici e situazioni politiche diverse reggono fino a un certo punto, ma quel che potrebbe effettivamente far cambiare la situazione in questi giorni e nelle settimane a seguire è la crisi economica, che è devastante per un regime che si è retto, dal 1999 in poi, soprattutto grazie ai molti soldi del petrolio, che hanno oliato e mantenuto funzionante un motore clientelare complesso, con molte ramificazioni nelle città e nelle regioni periferiche. Ora quel motore rischia di grippare. E lo sa anche Bashir, che ha dovuto sciogliere tutti i governi degli stati che compongono il Sudan e licenziare tutti i suoi consiglieri come effetto della spending review, rischiando così di far saltare delicati equilibri e accordi di potere al centro e nelle periferie.
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